Rischi latenti ed opportunità intrinseche in un “ritorno al futuro” geopolitico tanto strategicamente necessario quanto dettato dalla storia.
NUOVA CONCEZIONE DEL RUOLO GEOPOLITICO ITALIANO
Ora che la strategia dell’esecutivo in materia di politica estera sembra essersi delineata tanto chiaramente quanto dal risultare, almeno in superficie, di facile interpretazione anche agli occhi del meno acuto degli osservatori, risulta necessario comprendere quali siano i vantaggi concreti che il Paese potrebbe effettivamente trarre da questa reinterpretazione del ruolo geo-economico Italiano come quello di redivivo perno regionale Euro-Mediterraneo e di potenziale corridoio, non solamente energetico, tra Europa e Africa.
Altrettanto importante è l’identificazione dei rischi, tanto tangibili quanto ineluttabili, relativi all’implementazione fattuale di tale dottrina strategica, di cui il Piano Mattei, ovvero l’intenzione di fare della penisola il principale snodo energetico Euro-Africano, resta granitico, irrinunciabile pilastro. Diviene pertanto imprescindibile analizzarne non solo i fondamenti di natura meramente geopolitica ed economica, bensì anche quelli di carattere storico-culturale che ne definiscono il perimetro di legittimazione intellettuale e parimenti politica. Il punto di partenza in questo processo analitico deve essere una semplice tanto quanto potente constatazione geografica che, a dispetto della sua apparente banalità, possiede un’inestimabile valore spirituale e addirittura filosofico, in quanto è la geografia il demiurgo che plasma il destino dei popoli.
L’ITALIA NEL “GRANDE MARE”
L’Italia fu, resta e rimarrà una potenza prima di tutto Mediterranea. Il suo avvenire è legato a doppio filo a quello dello specchio d’acqua sul quale si affaccia e dal quale è circondata. Ne consegue, che il rapporto con gli atri attori strategici del bacino e, per estensione, con tutti i paesi rivieraschi sia una priorità strategica per la stessa sopravvivenza della Repubblica nel lungo periodo.
Questo è il principale assunto da cui l’attuale esecutivo guidato da Giorgia Meloni, in parte anche nel segno della continuità con il suo predecessore, ha costruito la propria offensiva diplomatica nei confronti del nostro “estero vicino”. Negli ultimi mesi l’azione della Farnesina è stata caratterizzata da un ritrovato dinamismo sugellato non solo dai recenti accordi energetici in Africa settentrionale con Algeria, Libia ed Egitto, ma anche da un rinnovato interesse verso l’area Balcanica, ventre molle in perenne ebollizione di un’Europa distratta e dimentica della propria storia. La Premier è arrivata persino a definire un ulteriore allargamento dell’Unione Europea, mirato ad estenderne la membership proprio ai Balcani Occidentali, come prioritario durante una Conferenza tenutasi a Trieste il gennaio 11 2023.
ITALIA E CINA: UNA PARTITA FONDAMENTALE NEI BALCANI
La penisola Balcanica rimane infatti un’area vitale non solamente per gli interessi Adriatici Italiani, come la Juditha Triumphans composta da Vivaldi al fine di celebrare la vittoria della Serenissima sugli Ottomani a Corfù nel 1716 ci ricorda con la celeberrima strofa “Adria vivat et regnet in pacem”. Essa è attualmente oggetto di quella che potremmo definire letteralmente come un OPA da parte della Repubblica Popolare Cinese. La Cina tenta infatti, attraverso l’infrastruttura strategica del Porto del Pireo e investimenti mirati nei singoli Paesi di una regione negletta dall’UE fin troppo a lungo dimenticata, di costruirsi una via di comunicazione terrestre che le consentirebbe, almeno sulla carta, di raggiungere l’Europa Centrale circumnavigando il porto di Trieste. In tal guisa, Pechino ambirebbe a connettere la Mitteleuropa a quelle che Pechino definisce “nuove vie della seta” o Belt and Road Initiative, progetto imperiale di carattere squisitamente espansionistico-militare il cui successo dipende necessariamente dalla realizzazione delle vie della seta marittime, fornendo così alla Cina non solo il pretesto per costruire una flotta atta a tutelarle facendosi quindi potenza talassocratica, ma anche le infrastrutture logistiche per rifornirla. Sarà pertanto essenziale per l’Italia riposizionarsi strategicamente nei Balcani in modo da proporsi come interlocutore privilegiato di UE e Stati Uniti in funzione di contenimento anticinese sul fianco sudorientale della NATO, prima che lo facciano altri attori quali, per esempio, la Turchia. Ankara è infatti tradizionalmente molto attiva nell’area in virtù del suo retaggio imperiale, in particolare in Albania, nazione per noi strategica e, paradossalmente, da sempre tanto filo Italiana quanto negletta nel nostro dibattito pubblico.
ORIENTAMENTO VERSO IL FRONTE MERIDIONALE DEL MEDITERRANEO
Nel contesto Nord Africano, invece, l’esecutivo ha optato per un consolidamento del rapporto con Algeri e, soprattutto, per un reinserimento a gamba tesa in Tripolitania utilizzando la diplomazia del gas in una fase critica dal punto di vista energetico per l’intera Europa, contando quindi sul tacito assenso di Berlino e Bruxelles, ma non necessariamente su quello di Parigi. L’accordo con l’Algeria, divenuta oramai il principale fornitore di Gas, pone infatti l’Italia nuovamente nel solco tracciato dalla politica di Enrico Mattei. Questo gigante della storia Repubblicana aveva compreso non soltanto l’importanza vitale degli idrocarburi forniti da una Società dello Stato come motore di sviluppo industriale per un Paese sconfitto e impegnato nella ricostruzione post bellica, ma aveva anche, attraverso l’adozione della così detta “formula Mattei”, trasformato ENI in un veicolo di soft power Italiano verso un’Algeria, allora dipartimento Francese, in lotta per la propria indipendenza e verso il mondo in via di sviluppo in generale, dal quale dipenderà la crescita di un’Europa sempre più vecchia e sempre meno dinamica nei decenni a venire.
Per quanto la situazione internazionale attuale differisca da quella di allora e tenendo sempre a mente le ciniche parole con cui Mark Twain ammoniva i propri contemporanei riguardo i rischi intrinsechi nel determinismo storico, “La storia non si ripete ma spesso fa rima”, anche solo la decisione di denominarlo Piano Mattei rappresenta la volontà di imprimere alla politica estera di questo Paese, spesso altalenante e priva di lungimiranza, una svolta che tragga la propria legittimità da un senso di prospettiva storica e di continuità istituzionale. Era stato infatti lo stesso Mario Draghi, dando seguito politico-diplomatico alla visione strategica dell’ENI, a tastare il terreno in questa direzione. Giocando la carta Algerina e tentando quindi di capitalizzare sulle contingenze create dal conflitto ucraino in materia di approvvigionamento energetico, il cui perdurare continua a precludere ogni concreta opportunità di normalizzazione dei rapporti tra UE e Federazione Russa, il precedente esecutivo ha oggettivamente il merito di aver posto le basi per un nuovo corso nella nostra politica estera.
Tutto ciò con buona pace delle ambizioni spagnole di proporsi come snodo energetico alternativo attraverso il raddoppiamento del gasdotto trans-pirenaico, iniziativa invisa a Parigi, e tramite l’utilizzo della straordinaria capacità di rigassificazione rappresentata dai sei impianti attualmente operativi in Spagna. Una capacità non pienamente sfruttata, in parte a causa delle migliori connessioni infrastrutturali che l’Italia possiede con Algeria e Libia, e in parte anche grazie alle dispute legate al Sahara Occidentale che vedono la Spagna contrapporsi al Marocco, compromettendo quindi i rapporti di Madrid con la sponda sud del Mare Nostrum. Sarà pertanto necessario non sottovalutare le ambizioni di Spagna e Turchia, altro potenziale concorrente in virtù dello strategico Gasdotto Transanatolico, che potrebbero oggettivamente minare il piano di lungo termine del governo, dato il nostro relativo ritardo nella costruzione di un numero sufficiente di rigassificatori.
In quest’ottica, il rientro dell’Italia nella partita Libica attraverso l’accordo con il governo della Tripolitania, sostenuto da Turchia, Qatar e conseguentemente dalla Fratellanza Musulmana, funge da ulteriore elemento di rafforzamento della posizione Italiana nella regione, garantendo il primato del partenariato economico Italiano nel paese e consentendoci di sedere al tavolo delle trattative sul futuro della Libia come azionista di maggioranza non solo di una delle due fazioni rivali, ma dell’intera nazione in termini economici. Tuttavia, questo nuovo orientamento verso il fronte meridionale comporta una serie di rischi da non sottovalutare. Alcuni di questi sono emersi prepotentemente in seguito alla controversia Italo-Francese causata da quella che Roma ha percepito come un’intenzionale esclusione da parte di Francia e Germania dall’ “incontro inopportuno”, così definito da Palazzo Chigi, tenutosi a Parigi poche ore prima del Consiglio Europeo con il Presidente Zelensky.
Le rispettive cancellerie e i corpi diplomatici sono immediatamente corse ai ripari nel tentativo di calmare le acque, ma non sono mancate le reciproche recriminazioni, oramai parte fondamentale di un rapporto Franco-Italiano spesso riassumibile, nonostante il Trattato del Quirinale, con l’aggettivo schizofrenico. Non si sono, inoltre, fatte attendere le critiche al Presidente del Consiglio di chi, memore del viaggio in treno con Macron e Scholz, ha colto l’occasione per accusarla di aver minato l’eredità del suo predecessore Mario Draghi, il quale avrebbe, secondo tale narrazione, il merito di aver reinserito l’Italia nel grande gioco delle potenze Europee. Tale interpretazione dei fatti parrebbe inoltre fortificata, secondo i suoi principali fautori, dalle recenti tensioni con Parigi sul tema migranti e dalla decisione della BCE guidata da Christine Lagarde e pressata dai falchi deflazionisti della Bundesbank di alzare i tassi d’interesse, a dispetto delle obiezioni Italiane, nel tanto vano quanto teoricamente fallace tentativo di arrestare un’inflazione da carenza di offerta e salari stagnanti con strumenti di politica monetaria convenzionali atti a fronteggiarne una da eccesso di domanda.
Il quadro complessivo che emergerebbe, secondo costoro, sarebbe pertanto quello di un’Italia isolata in Europa dagli azionisti di maggioranza dell’Unione, ovvero Francia e Germania, che non riterrebbero l’attuale inquilina di Palazzo Chigi un interlocutore affidabile. Tuttavia, la natura quint’essenzialmente teatrale della politica ci impone di guardare ben al di là delle mere dichiarazioni pubbliche dei singoli governi o istituzioni, incluse le critiche mosse dal MEF riguardo l’iniziativa Franco-Tedesca di farsi alfieri a Washington delle istanze dell’industria UE riguardo il piano di sussidi per le tecnologie verdi IRA, messo in campo dall’ amministrazione Biden, escludendo l’Italia. Lo spettacolo viene organizzato dietro le quinte, e ci sono due elementi estranei al palcoscenico del dibattito democratico che devono essere tenuti a mente per quanto concerne il nostro rapporto con l’entità che definiamo “Europa”, quasi fosse un monolite, ma in particolare con Parigi e Berlino. Da questi due fattori dipenderà il successo o il fallimento dell’ambiziosa politica estera inaugurata da Draghi prima e continuata con ancora maggior slancio da Giorgia Meloni.
L’IRRISOLTA QUESTIONE FRANCO-ITALIANA NEL MEDITERRANEO
Il primo riguarda molto semplicemente la partita Libica e, per estensione, Mediterranea in corso tra Francia e fronte Arabo anti Turco da un lato e asse Islamista Turco-Qatarino dall’altro. L’Italia, seppur non ufficialmente allineata con nessuno dei contendenti, continua a supportare il governo di Tripoli inviso al Generale Haftar, comandante dell’autoproclamato esercito nazionale libico (LNA) e all’esecutivo parallelo attualmente operativo in Cirenaica, quest’ultimo sostenuto da Francia, Emirati Arabi Uniti, Federazione Russa e dall’ Egitto di Al Sisi, che non ha mai veramente rinunciato alla sua storica influenza proprio sulla Cirenaica “storica”.
L’intervento Turco in Tripolitania ha risollevato le sorti di Serraj riequilibrando le forze in campo, quando sembrava oramai data per scontata la vittoria di Haftar, ma ha indubbiamente creato una pericolosa contraddizione nella quale il governo Italiano dovrà muoversi con estrema cautela. L’Italia si trova stretta tra due disegni imperiali, uno in ascesa ed uno in crisi strutturale.
Da un lato una Turchia di fatto post Kemalista, governata da una non santa alleanza tra nazionalismo di matrice panturchista ed islamismo politico militante le cui pulsioni neo ottomane si disvelano a pieno titolo nella dottrina denominata “Mavi Vatan”, letteralmente “Patria Blu”, di cui il recente memorandum sulla zona economica esclusiva tra Libia e Turchia, concluso proprio con Serraj, è solo il primo atto.
In contrapposizione ad Ankara ed in difesa della sua tradizionale “missione civilizzatrice” universalistica, la potenza (post) imperiale Europea par excellence, la Francia. Fautrice di una grande coalizione ostile alla Fratellanza Musulmana, finanziata dal Qatar e che vede attualmente in Erdogan il suo esponente di spicco, Parigi sta conducendo una lotta senza quartiere dalla Tunisia al Mediterraneo Orientale all’islamismo militante, una lotta che si è trasformata in una vera e propria battaglia per la sopravvivenza per un Paese in cui la delicata questione del rischio radicalizzazione dei giovani cittadini musulmani attraverso l’azione destabilizzante e mirata da parte di Potenze straniere, definita da Macron come problema dei “separatismi”, è divenuta una priorità di sicurezza nazionale. La Francia è, inoltre, sempre più sotto pressione in Africa Occidentale, altra sua tradizionale zona d’influenza, a causa della crescente penetrazione economica Cinese, e teme che la guerra in Ucraina sposti il baricentro dell’alleanza atlantica sempre più verso Est, sminuendo quindi il ruolo di Parigi in un’Europa sempre più a trazione Germanico-Nordica e concentrata sul fronte Baltico.
Se a queste considerazioni si aggiunge il fatto che l’attuale inquilino dell’Eliseo non si è mai tirato indietro dal combattere il fronte “populista”, termine tanto abusato quanto mal interpretato, interno al suo Paese attaccando quelli al potere oltre confine, allora lo scenario appare completo in tutta la sua drammaticità. La Francia, percependosi minacciata sia internamente che esternamente, sarà sempre pronta a reagire ad ogni mossa Italiana nel Mediterraneo allargato in maniera tanto repentina quanto aggressiva a prescindere dai partenariati economici e industriali con il nostro Paese o dallo stesso Trattato del Quirinale. Il tentativo Francese di isolare Roma dopo il caso Ocean Viking e di tagliarla fuori dalla cabina di regia continentale condivisa con Berlino, va pertanto letto alla luce di questa consapevolezza. Non è infatti possibile escludere che la controversa decisione di Parigi di tagliare fuori l’Italia dall’incontro equivalga ad un riflesso quasi pavloviano di disappunto post imperiale causato dall’avvicinamento di Roma ad Algeri e dall’annuncio del Piano Mattei.
IL TESO RAPPORTO CON BERLINO: TRA FISCAL COMPACT E POLITICA INTERNA
L’altro elemento di criticità è invece di natura economico-finanziaria, e concerne prevalentemente il rapporto con Berlino e i suoi clientes continentali (Olanda, Austria, Finlandia etc…). Se il PNRR è stato sicuramente un “Compromesso Storico” nel contesto delle politiche fiscali tradizionalmente deflattive applicate nell’Eurozona e legittimate dal perseguimento dei parametri di Maastricht, la recente pressione inflazionistica ha fornito al partito dell’austerità in Germania, un fronte ideologico ispirato dal puro fanatismo monetario che trascende ogni appartenenza politica, la perfetta occasione per imporre il ritorno al Fiscal Compact e alla disciplina di bilancio.
Non serve sottolineare quanto pericolosa sarebbe per l’Italia un’ulteriore dose di austerità dopo decenni di basso livello d’investimenti, conseguente bassa produttività del lavoro, bassa crescita, tagli orizzontali e domanda interna virtualmente inesistente. Un Paese appesantito dal fardello di un debito come il nostro e che sta affrontando contemporaneamente una crisi demografica, può sperare di ridurlo solamente attraverso una sostenuta crescita economica e degli investimenti strutturali. L’emissione di debito comune europeo durante la pandemia, celebrata a Roma e nelle capitali dei membri mediterranei dell’Unione come una vittoria, ci ha sicuramente aiutato, ma ha al contempo rappresentato per la Germania il crollo di un tabù propagandato all’opinione pubblica tedesca ed al mondo come non negoziabile sin dall’introduzione stessa della moneta unica. Se la guerra in Ucraina dovesse protrarsi a oltranza e la situazione economica tedesca fosse soggetta ad un ulteriore peggioramento, allora Berlino non avrebbe altra scelta, pena regalare argomenti addizionali a partiti euro-critici come AFD, se non rifugiarsi nella narrativa del ritorno generalizzato di tutta l’Eurozona alle politiche fiscali “prudenti”, alias austerity, che hanno caratterizzato l’era Merkel nella sua interezza. La finanziaria approvata dal governo Meloni poco dopo il suo insediamento, criticata da molti proprio per l’eccessiva prudenza, va pertanto interpretata come un tentativo di rassicurare momentaneamente la Germania, evitando quindi lo scontro frontale e creando una potenziale sponda Renana in una fase di effettivo raffreddamento dei rapporti con la Francia.
IL FUTURO DELL’ITALIA E IL RAPPORTO CON I PARTNER EURO-ATLANTICI
Alla luce di questi fatti, la nozione che l’Italia sarebbe isolata in Europa a causa dell’operato di Giorgia Meloni, la cui politica estera è in buona parte all’insegna della continuità con il suo predecessore, risulta quantomeno superficiale se non persino risibile. Quello che è avvenuto negli ultimi mesi non è altro che il naturale riassetto degli equilibri di potenza europei, all’interno dei quali l’Italia è rientrata a pieno titolo non più da oggetto, bensì da soggetto. Essere un soggetto geopolitico attivo, e non mera espressione geografica di Metternichiana memoria, richiede però la consapevolezza delle proprie responsabilità di fronte al mondo e alla storia. Tale consapevolezza si sostanzia nel perseguimento di quello che Guicciardini amava definire “Interesse Particolare” e che il Machiavelli denominò “Ragion di Stato”. Il legittimo perseguimento dell’interesse nazionale va naturalmente condotto, almeno per ora, all’interno delle regole del sistema Euro-Atlantico, ma non possiamo permetterci il lusso delle illusioni. I nostri interessi non solo non sono necessariamente gli stessi delle controparti, ma spesso e volentieri non risultano compatibili con le altrui istanze e tantomeno possono essere oggetto di potenziali compromessi. Sta alle rispettive classi dirigenti responsabili della gestione del potere trovare un modus vivendi tra i diversi attori in campo. Fino a quando Giorgia Meloni riuscirà a mantenere un equilibrio tanto difficile quanto necessario tra l’interesse Italiano e quello dei nostri partner, allora avremo l’opportunità di cogestire il futuro dell’Europa insieme a quest’ultimi, con la consapevolezza, tuttavia, che equilibrio non significa supina accettazione delle priorità altrui.
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Ultima Modifica: 27 Febbraio 2023