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Benedetto XVI: un Pontefice, un politico, un uomo

Sua Santità Papa Emerito – qui sibi nomen imposuit – Benedetto XVI, al secolo Joseph Aloisius Ratzinger, uno dei tanti, ma tra i più illustri umili e semplici lavoratori della vigna del Signore è tornato alla Casa del Padre nel giorno di San Silvestro.


Benedetto XVI: il Papa dimissionario

Il Papa rivoluzionario

            Benedetto XVI lascia un’immensa eredità in quanto conclamato teologo e brillante comunicatore, a lui deve imputarsi parte della recente storia – talvolta turbolenta – della Chiesa Cattolica. Dapprima sacerdote, professore e Arcivescovo poi collaboratore di Giovanni Paolo II, a cui succederà sulla Cattedra di Pietro nel 2005 fino all’annuncio della sua rinuncia al ministero petrino l’11 febbraio 2013 come ai sensi del Diritto Canonico. È riportato un estratto di tale nuntio vobis, in latino, perché come Ratzinger sosteneva: le notizie problematiche era meglio darle in latino così, essendo oramai solo il 20% degli ecclesiastici in grado di parlarlo, solo 20% dei fratelli cardinali avrebbe potuto arrabbiarsi.


“L’annunciazione”

(LT.)

Fratres carissimi, non solum propter tres canonizationes ad hoc Consistorium vos convocavi, sed etiam ut vobis decisionem magni momenti pro Ecclesiae vita communicem. Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum.

Bene conscius sum hoc munus secundum suam essentiam spiritualem non solum agendo et loquendo exsequi debere, sed non minus patiendo et orando. Attamen in mundo nostri temporis rapidis mutationibus subiecto et quaestionibus magni ponderis pro vita fidei perturbato ad navem Sancti Petri gubernandam et ad annuntiandum Evangelium etiam vigor quidam corporis et animae necessarius est, qui ultimis mensibus in me modo tali minuitur, ut incapacitatem meam ad ministerium mihi commissum bene administrandum agnoscere debeam […]”.

(IT.)

Carissimi Fratelli, vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino.

Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato […]”.

Le dimissioni

            Rinuncia che gli valse non poche critiche da parte della Chiesa che paragonò tale gesto a quanto fece prima di lui Pietro da Morrone, Papa Celestino V, che l’altrettanto Sommo Dante Alighieri, che destinandogli un posto all’Inferno tra gli ignavi, derise con la seguente terzina: “Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto”. Ebbene, la Chiesa Cattolica non ebbe da subire più una turbolenza come quella di una rinuncia al Pontificato da più di cinquecento anni, quando a rinunciare fu Gregorio XII.


Ratzinger: il “rottweiler di Dio”

I due Papi

            A dare la notizia della sua sparizione al mondo, dopo i giorni di preghiera sollecitati dal Sommo Pontefice Papa Francesco, il direttore della sala stampa della Santa Sede Matteo Bruni. Nella giornata di ieri la Basilica di San Pietro si è colmata degli ossequi di innumerevoli personalità dalla pubblica rilevanza e di altrettanti fedeli nella celebrazione delle sue esequie.
Sarà da considerarsi un funerale “hors normes” siccome per la seconda volta nella storia sarà un Papa a celebrare l’addio di un “collega”, il precedente – da molti dimenticato – rimarcato da Vatican News, è da imputarsi ai funerali di Pio VI celebrati dal suo successore Pio VII nel 1802 a causa del suo esilio forzato in Francia.

Tuttavia, elemento di notevole interesse sta nel rapporto che Ratzinger e Bergoglio hanno mantenuto ancor dapprima che quest’ultimo gli succedesse alla carica pontificia.

Papa Benedetto XVI: il tradizionalista

            Da un lato un timido, altamente impopolare, conservatore, tradizionalista, fervente latinista e immacolato teologo che tentò di respingere relativismo e permessivismo, ai suoi occhi dei “mali”. Un uomo che dimostrò – col tempo – di aver scordato gli insegnamenti della Fede a favore di quelli della Chiesa, da intendersi come istituzione politica, dimenticando così il retto camino spirituale e consacrando la staticità della Chiesa. Staticità figlia della convinzione che “Dio non cambia mai” e che di Dio, il Vescovo di San Pietro doveva esserne il cane da guardia: Ratzinger come il “rottweiler del Padre”.

Benedetto XVI sebbene abbia fallito nei compiti prepostisi al debutto del suo operato, in particolare quella missione di combattere la profonda crisi e ipocrisia con il solo scopo di riabilitare la Chiesa è da personificarsi come “Salvatore 2.0” della Chiesa cattolica proprio in virtù della sua dimissione.

La crisi e il naufragio

            Egli subentrò al Ministero petrino in un momento – quasi – senza precedenti, e in modo altrettanto eccezionale seppe rinunciare al suo mandato. Si rese conto che per la sopravvivenza e il futuro della Chiesa stessa, in un momento di indebolimento e di disordine sistemico ricco di turpitudini, malaffare, miserie morali del clero, dell’episcopato, della curia, un momento costellato di scandali tanto legati al lucro quanto alle nefandezze sessuali come rivelati da Gianluigi Nuzzi, grazie alla complicità del maggiordomo di Sua Santità, Paolo Gabriele, protagonista dimenticato del primo caso Vatileaks, ne: “Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI”, che causò un ulteriore terremoto nella casa di San Pietro e decredibilizzò tanto la figura del Papa emerito come Pastore del suo gregge tanto quanto quella di un uomo che era al corrente. Un uomo che sapeva.

A quel punto si rese necessaria una scelta. Una scelta che seppe compiere: o lui o la Chiesa.

Compiendo quel passo indietro dimostrò tutta la sua lungimiranza e lucidità, attenendosi all’adagio secondo cui: “Dio corregge un Papa dando al mondo un altro Papa”. E lui scelse di ammirare la Sua opera.

Papa Francesco: l’umile

            Dall’altro lato, il futuro Sommo Pontefice, il primo dell’emisfero Sud del pianeta, un umile gesuita figlio di immigrati, decisamente progressista che con le tradizioni, soprattutto quelle legate all’ostentazione della Chiesa, non è mai andato d’accordo.

Di qui la scelta del nome “Francesco” in riconoscenza di quel Francesco di Assisi che della semplice paupertà e della miseria fece la sua vita, di qui il rifiuto per gli opulenti simboli del Papa dai gioielli alle croci dorate e dalle scarpe rosse alla mozzetta. Un uomo dal passato turbolento sia a causa di quella che – soprattutto alcuni fratelli gesuiti – hanno definito complicità, omertà con la dittatura militare argentina dell’Ammiraglio Massera degli anni ’70 che lo portarono all’esilio una volta tornata la democrazia, sebbene egli avesse aiutato molti fedeli a scampare ad una morte pietosa. Sia a causa del suo radicale cambio di opinione su omosessuali, definiti al suo esordio come “progetto del diavolo”, sul fatto che fosse fortemente a favore del celibato e delle messe in latino e sull’obbligo di portare l’abito talare sino a poi porsi su posizioni decisamente diverse.

Il cambio di rotta

            Definì la Chiesa “narcisista” e non più legittimabile, allentò la sua rigidità sul celibato, rifiutò di indossare le vesti cardinalizie e di usufruire delle vaste residenze annesse al suo ruolo. Si pose – privatamente – come tra i più critici nei confronti di Benedetto XVI e come capofila dei riformatori della Chiesa, capeggiato in primis da colui che nel 2005 lo lanciò al Conclave come principale avversario di Ratzinger, il Cardinale Carlo Maria Martini, il Papa mancato, il più autorevole prelato della Chiesa progressista che vide in Bergoglio il suo naturale successore. Di qui il rifiuto di Benedetto XVI di accettare le presunte dimissioni del cardinale argentino, che avrebbero ulteriormente indebolito la Chiesa, sebbene le differenze tra i due uomini fossero inconciliabili.


Le loro Somme Santità

Un Papa, un politico

            Forse è misconosciuto ma i Pontefici, ognuno di loro, delineano una precisa geopolitica, la c.d. “geopolitica dello spirito”; una precisa linea di pensiero in materia di relazioni diplomatiche ed internazionali. Ratzinger è stato l’ultimo Papa ad aver sottolineato la centralità intellettuale Europea nel mondo e al contempo il primo ad aprirsi ampiamente al resto del mondo come dimostra l’organizzazione del primo incontro con il sovrano saudita Abdallah bin Abdulaziz Al Saudin in Vaticano, da molti considerato un “incontro riparatore” all’aspra reazione del mondo islamico ad alcune parole – naturalmente decontestualizzate – professate dal Pontefice in una lectio magistralis in Germania. Analogamente il sollevamento del veto all’entrata della Turchia nell’Unione Europea in un incontro ad Ankara nel 2006 era stato preso come un segnale di apertura non solo intellettuale ma concreto all’intrecciarsi, sempre più intenso, di cattolicesimo e altre religioni.

Benedetto XVI e l’Europa

            Sua Santità, come detto, attento al destino occidentale, si è – a giusto titolo – introdotto nel dibattito europeo diverse volte. Particolarmente interessante il modo pungentemente critico con cui si è espresso nei confronti di quel progetto di Costituzione Europea che mai vide la luce causa i referendum con esito negativo di Francia e Paesi Bassi. Era evidente dal progetto del testo che la Chiesa, e in modo particolare il cristianesimo, avrebbero avuto un ruolo marginale, al limite dell’inesistente, circa le radici comuni dei popoli europei e delle loro istituzioni rappresentative. In quel testo si realizzarono difatti i peggiori incubi del Vaticano, in primis la pervasione di quel “narcotico”: il relativismo, che da tempo oramai soggiogava – e forse ancora oggi – l’Europa. Queste le parole di Benedetto XVI sull’apostasia, la crisi religiosa e morale che ha inondato il continente:

[…] l’Europa ha sviluppato una cultura che, in un modo sconosciuto prima d’ora all’umanità, esclude Dio dalla coscienza pubblica, sia che venga negato del tutto, sia che la sua esistenza venga giudicata non dimostrabile, incerta, e dunque appartenente all’ambito delle scelte soggettive, un qualcosa comunque irrilevante per la vita pubblica […]“.

[…] Chi verrebbe offeso? L’identità di chi viene minacciata? I musulmani, che a tale riguardo spesso e volentieri vengono tirati in ballo, non si sentono minacciati dalle nostre basi morali cristiane, ma dal cinismo di una cultura secolarizzata che nega le proprie basi. E anche i nostri concittadini ebrei non vengono offesi dal riferimento alle radici cristiane dell’Europa, in quanto queste radici risalgono fino al monte Sinai: portano l’impronta della voce che si fece sentire sul monte di Dio e ci uniscono nei grandi orientamenti fondamentali che il decalogo ha donato all’umanità. Lo stesso vale per il riferimento a Dio: non è la menzione di Dio che offende gli appartenenti ad altre religioni, ma piuttosto il tentativo di costruire la comunità umana assolutamente senza Dio […]“.

Benedetto XVI e gli Stati Uniti

            Un esempio della diplomazia planetaria della Santa Sede, e in particolare del ruolo del successore di Pietro, la fluttuazione delle relazioni tra Vaticano e Washington, degradatesi dopo il crollo del Muro nel ’89 quando il suo predecessore, Giovanni Paolo II, ammonì il diffondersi dello “spirito capitalista” e del suo forte “imprinting” al lucro, che in altri tempi, la Chiesa – ovviamente – condannava senza remore. Sentimento confermato anche da Ratzinger che sottolineava già la pericolosità delle derive consumistiche dei sistemi capitalisti annesse ai grandi festeggiamenti cristiani. L’intento ideologico e lo sguardo all’Occidente del Pontefice sono stati sapientemente riassunti nelle seguenti righe a cura di Alberto Melloni in “Benedetto XVI, il coraggio di un Papa conservatore”, ISPI:

[...] Nel mondo post-bipolare l’utopia conservatrice ratzingeriana – un cattolicesimo di minoranza creativa che prepara una rinascita cristiana conservatrice per il momento in cui crollerà la dittatura del relativismo e la tirannia del desiderio – non ha trovato successo. Ma non perché un pensiero progressista lo abbia battuto in breccia, ma perché quella destra di cui sottovalutava i rancori animali, ha preso forza con i populismi e i nazional-populismi ben oltre i ricami del suo moderatismo stile CSU [...]”.

Il coraggio di fare un passo indietro

            Benedetto XVI ha avuto il coraggio di lasciare il progresso fare il suo corso. È stato l’ultimo Papa a non volersi sottomettere all’idea che il Pontefice debba per forza morire in carica. Idea frutto della concezione secondo cui l’autorità stessa del Santo Padre, rispetto a tutte le altre figure politiche di rilevo internazionale, deriva dal fatto che egli morirà nell’adempimento dei suoi doveri in modo da personificare il Cristo in croce, come martire di giustizia e verità.

Benedetto XVI dopo le dimissioni ha avuto il coraggio di vivere – e morire – in un silenzio che non era tenuto a rispettare, in una condizione di silentium incarnatum.

Ultima Modifica: 2 Settembre 2023

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