Mentre si avvicina la conclusione di quello che stiamo iniziando a chiamare il “primo” anno di guerra, la situazione sul campo appare relativamente stabile da ormai un paio di mesi. Una stabilità soltanto apparente, fatta in realtà di continue sortite di scarso successo da entrambe le parti. Complice l’arrivo non tanto del gelo quanto del fango, nemico di vecchia data di ogni avanzata militare, unito alla scarsità da parte ucraina di mezzi corazzati, la controffensiva dell’Ucraina ha subito una lunga battuta d’arresto. Battuta d’arresto che potrebbe aver privato gli ucraini dell’iniziativa, ovvero del ruolo di attaccante e della conseguente possibilità di decidere in quale settore del fronte intensificare i combattimenti e tentare di avanzare.
D’altronde, la tanto vituperata mobilitazione russa in autunno ha sortito, tra mille problemi, diversi effetti positivi per Mosca, permettendo una rotazione delle truppe e svolgendo un ruolo di primo piano nella stabilizzazione del fronte: difatti, considerazioni sullo scarso addestramento dei coscritti russi, che pure sono corrette, risultano superficiali se non si tiene conto del contesto in cui essi vengono impiegati. Le operazioni difensive statiche russe di questo autunno non richiedevano livelli di competenza ed esperienza paragonabili all’offensiva primaverile e quindi l’apporto dei coscritti è stato determinante.
Le due fazioni stanno impostando le loro operazioni in maniera diametralmente opposta, fatto che non si coglie facilmente dalla cronaca e dalla battaglia dei numeri giornaliera tra le due parti – essendo i numeri stessi arma di guerra – ma si può osservare se si guarda il conflitto nell’insieme. Per motivi differenti i russi sono sempre stati concentrati sul preservare il più possibile le proprie forze, dapprima perché conducevano la guerra con sufficienza, senza prendere troppo sul serio il nemico. Successivamente, fallite le tattiche da guerra-lampo, si sono progressivamente adattati a una guerra di logoramento in cui fanno valere la schiacciante superiorità numerica della loro artiglieria, delle capacità missilistiche e aeree per consumare le forze avversarie ed esporre il meno possibile le proprie.
Gli ucraini, le cui truppe hanno un morale elevato ma un ristretto numero di mezzi pesanti e di pezzi d’artiglieria, nonché di munizioni, hanno impostato una guerra di manovra basata sul movimento e aperta a un numero elevato di perdite.
Entrambe le parti progettano nuove operazioni offensive anche se non è chiaro se queste avranno luogo già in inverno, raggiunto il picco di congelamento del terreno che permette di manovrare mezzi pesanti con facilità, oppure in primavera. Certo è che in generale ci si aspetta una nuova intensificazione del conflitto nei prossimi mesi e, come rilevato anche dall’ONU, non si prospettano trattative nel prossimo futuro.
La recente cattura di Soledar, infine, non costituisce una vittoria determinante sul piano militare ma può aiutare il morale delle truppe russe e il consenso interno. L’accerchiamento di Bakhmut, seppur facilitato in teoria dalla presa di Soledar, è ad oggi tutt’altro che certo: potrebbe volerci ancora molto tempo o potrebbe non accadere mai, dato che le truppe russe e filorusse nell’area potrebbero aver compromesso le loro capacità offensive dopo oltre cinque mesi di combattimenti. Questo è quanto osserva l’Institute for the Study of War, notando segni della cosiddetta “culminazione”, il punto massimo di un’offensiva, corrispondente al momento in cui non è possibile fare ulteriori avanzamenti da parte dell’attaccante.
Il 2023 sarà, inoltre, l’anno della vera messa alla prova della resilienza russa alle sanzioni. Forte di un grosso surplus nel primo semestre del 2022 legato al rialzo dei prezzi delle materie prime – energetiche e non – che esporta, il Paese è riuscito a chiudere l’anno con un deficit di bilancio decisamente maggiore delle previsioni ante-guerra ma assolutamente sostenibile: la domanda è come reagiranno la sua economia e il suo bilancio statale qualora la guerra dovesse perdurare per tutto il 2023 e oltre, non potendo più contare su extra-profitti e dovendo fare i conti con sanzioni occidentali ormai a pieno regime. La Russia non è priva di risorse, ad ogni modo, dato che potrebbe avere riservato fondi per l’evenienza, sta effettuando tagli delle spese non legate al comparto militare e avrebbe sempre l’opzione di emettere titoli di stato. La differenza con l’anno passato è che queste soluzioni non sono a costo zero e possono mettere i conti statali russi e la sua economia sotto stress.
Un’altra considerazione a riguardo: la Russia non sarà la sola a vedere testata la propria resilienza nell’anno in corso, dal momento che anche i paesi europei hanno potuto godere nel 2022 di alcuni vantaggi, essendo che i reali effetti delle interruzioni nelle forniture energetiche russe si potranno osservare solo dal prossimo inverno.
Fortunatamente per l’Ucraina, i suoi principali alleati rimangono gli Stati Uniti e il Regno Unito dato che, come si può osservare dai dati dell’ISPI, i paesi europei stanno contribuendo in proporzione molto inferiore allo sforzo bellico ucraino. Pertanto, la loro resilienza non è importante come quella russa o americana ai fini dello sviluppo della guerra.
Le prospettive russe
Come si è detto, l’impostazione delle ostilità da parte russa sembra ormai rispecchiare completamente una guerra di logoramento intesa come conflitto pluriennale, come anche indicato dallo stesso Putin. Le prospettive di ampie conquiste territoriali in poco tempo si allontanano e sembra che i russi cerchino ora di causare un cedimento strutturale dell’Ucraina e/o un allentamento del supporto degli alleati. Da qui la campagna di bombardamento di scarsa rilevanza militare immediata contro le infrastrutture civili, i cui effetti hanno generato e continueranno con ogni probabilità a generare nel 2023 grosse difficoltà per gli ucraini e gli alleati, dal momento che i russi non danno alcun segno di voler abbandonare questa campagna e potrebbero ottenere ancora migliaia di droni e, forse, missili balistici dall’Iran.
Ad ogni modo, per ottenere risultati concreti sul campo la Russia sarà costretta, quest’anno, a mettere mano ad alcuni problemi di difficile soluzione riguardanti la disponibilità di truppe, nonché la qualità del loro equipaggiamento e addestramento. Su tutti questi fronti, dopo la cattiva performance nella mobilitazione autunnale, il Cremlino sembra essersi mosso per apportare dei miglioramenti, come nel caso del recente decreto per garantire dei risarcimenti alle famiglie dei soldati morti e ai feriti. Mosca sta anche facendo dei passi verso una mobilitazione industriale e sarà dalla serietà con cui il governo prenderà questo tema che dipenderanno quantità e qualità dall’equipaggiamento. La mobilitazione industriale potrebbe aumentare esponenzialmente le capacità produttive del settore militare ma significherebbe anche imporre grossi sacrifici alla popolazione civile, con il rischio di generare malcontento e destabilizzare il potere di Putin, motivo per il quale la Russia è andata finora al piccolo trotto su questo e sulla mobilitazione dei coscritti, posticipata il più possibile e attuata in misura ridotta.
Sembra che la Russia si stia preparando per avviare nuove operazioni offensive, nelle prossime settimane o più probabilmente in primavera. A tale scopo starebbe completando l’addestramento dei soldati mobilitati in autunno e, secondo gli ucraini, preparando una nuova mobilitazione di portata quasi doppia rispetto a quella precedente, arrivando a circa 500.000 uomini. Seppure queste cifre siano da prendere con le pinze, è ragionevole pensare che i russi vogliano aumentare di volta in volta la capacità dei loro centri di addestramento di ospitare più reclute, dato che attualmente sono in grado di operare a scaglioni di 250.000 uomini circa, con il risultato di far crescere molto lentamente le capacità operative del Paese.
Ogni gradino dell’escalation sul piano della mobilitazione industriale e dei coscritti comporterà per il regime russo un costo in termini politici considerevole ma al contempo potrebbe dare vantaggi militari non indifferenti: sarà su questo delicato equilibrio tra necessità del regime e necessità della guerra che si giocheranno la sopravvivenza del primo e gli sviluppi della seconda.
La delicatezza degli equilibri in un sistema autoritario si può notare bene dagli attriti tra la compagnia militare privata Wagner e il Ministero della Difesa russo, anche se appare decisamente prematuro vedere in questo i segni di un’effettiva destabilizzazione. Il potere di Putin non appare in discussione, al massimo lo è la sua intoccabilità ma ad ogni modo la fazione russa pro-guerra, i siloviki, è una galassia più variegata di quanto si pensi e che va ben aldilà della persona di Putin, rendendo la guerra una certezza ancora maggiore del Presidente.
Le prospettive dell’Ucraina
Lo sforzo bellico dell’Ucraina, così come la sostenibilità del suo bilancio statale e dell’economia dipendono in larga parte dal sostegno occidentale, ciò non è un mistero. Nel 2023 sarà fondamentale per il Paese riuscire a mantenere questo supporto costante e massiccio, con qualche ostacolo in più sul suo percorso rispetto all’anno passato.
Innanzitutto, i danni infrastrutturali fanno lievitare i costi per gli alleati, dal momento che in Ucraina molte attività industriali subiscono interruzioni nella produzione a causa dei blackout o devono arrestarla del tutto per ragioni di sicurezza, se pensiamo ad alcuni processi chimico-industriali e all’estrazione mineraria, per esempio. Ci possono essere, poi, importanti ripercussioni sulla continuità dei servizi, fra cui quelli bancari essenziali e, naturalmente, i trasporti. Unito alle gelide temperature e alla conseguente difficoltà di garantire il riscaldamento, tutto ciò potrebbe portare milioni di persone ad abbandonare un Paese che soffre un calo demografico costante da ben prima della guerra. Con una popolazione che va riducendosi, Kiev potrebbe avere difficoltà nella ricostruzione e nella sostenibilità del suo debito pubblico.
Sembra che gli sforzi per proteggere le infrastrutture ucraine stiano cominciando a dare i propri frutti, anche se ci sono incognite legate al costo dei sistemi di difesa: attualmente, gli ucraini hanno abbastanza successo nell’abbattere droni e missili russi ma utilizzano un po’ di tutto, compresi missili come i NASAMS, dal costo unitario di circa 100.000 dollari per abbattere droni che ne costano 30.000, quando non ricorrono direttamente a jet militari. Ne consegue che il momento del lancio del drone costituisce un win-win per la Russia dato che, alla peggio, esso “colpirà” un costoso missile occidentale e i suoi detriti, in aggiunta, potrebbero comunque arrecare qualche danno all’obiettivo, come già lamentato da fonti ucraine. I famosi Patriot non sembrano destinati a risolvere il problema poiché un missile di questo sistema ha un costo di 2 milioni di dollari e si può ragionevolmente pensare che sia fornito come difesa aerea e missilistica.
La situazione degli ucraini è senza dubbio la più difficile perché, oltre alle ovvie difficoltà di un Paese che vive la quotidianità della guerra, Kiev ha in qualche modo le mani legate dal punto di vista strategico: i territori conquistati dai russi sono fondamentali per una futura ripresa economica dell’Ucraina ma, al contempo, la loro riconquista potrebbe essere ben aldilà delle capacità militari ucraine, soprattutto in caso di ulteriori mobilitazioni russe di coscritti. Ne consegue che il Paese non può permettersi fino in fondo né la guerra né la pace. Un altro possibile rischio derivante dalla dipendenza dall’Occidente è quello di costringere l’Ucraina a tenere alta l’attenzione dei media sul conflitto cercando successi militari continui e a qualsiasi costo, consumando così risorse, soprattutto umane, non rinnovabili nel breve termine per ottenere vittorie tattiche non decisive.
Come annunciato dai loro vertici politici, gli ucraini si preparano a nuove operazioni controffensive in primavera e a rispondere a un’eventuale offensiva russa soprattutto a nord, presso il confine bielorusso, e ad est, nel Donbass, e a questo proposito gli alleati si stanno organizzando per fornire al Paese nuovi armamenti, anche di livello superiore all’attuale, tanto da prospettare l’invio di carri armati e aerei da combattimento. Naturalmente, non sarà la semplice presenza di questi nuovi mezzi a permettere all’Ucraina di resistere ed eventualmente liberare altri territori dall’occupazione russa, quanto piuttosto la disponibilità di un numero adeguato di essi e dell’addestramento necessario per un utilizzo efficace. Non a caso, Stati Uniti e Regno Unito hanno annunciato un’espansione dei loro programmi di addestramento delle truppe ucraine, per le quali il rischio non è tanto quello di una mancanza di volontari quanto di una “de-professionalizzazione” che le priverebbe di potenziale offensivo.
La fine della guerra “a esaurimento scorte”
Fino a questo punto, la guerra in Ucraina si è giocata sulle scorte: le vecchie armi dell’URSS, quelle vecchie e nuove dei paesi NATO ma sempre in un’ottica di magazzino più che di produzione. Del resto, le filiere militari in tempo di pace producono pochi pezzi all’anno e non è facile aumentare di molto la produzione da un giorno per l’altro. Il ricorso a vecchi armamenti dell’una o dell’altra parte è stato spesso dipinto come un segno di debolezza, erroneamente: il pensiero comune prevede che un carro vecchio di 40 anni debba essere in tutto inferiore a uno più moderno ma ciò è vero solo a grandi linee e fuori da un’ottica di effettivo utilizzo. Quando si devono utilizzare migliaia di carri armati, anche la semplicità di costruzione, i costi bassi e l’assenza di tecnologie che, come in una comune berlina, possono dare problemi porta a dare grande valore anche a mezzi più datati, talvolta considerati più affidabili.
Il rapido consumo delle scorte di armamenti sovietici in mano a quei paesi che oggi compongono la NATO e un tempo facevano parte del Patto di Varsavia porta gli occidentali a dover ricorrere ad armamenti propri, con qualche sfida aggiuntiva legata a: necessità di addestrare gli ucraini al loro utilizzo; produzione che andrà, con ogni probabilità, aumentata; costi unitari decisamente più alti.
Per quanto riguarda i russi, il livello di consumo delle loro scorte di missili è generalmente considerato superiore a quanti ne producano, motivo per cui avranno bisogno di aumentare considerevolmente la produzione. Su altri tipi di hardware militare, come pezzi d’artiglieria, munizionamento e carri armati, hanno il vantaggio di possedere un enorme arsenale sovietico ma ciò non significa che al Paese non sia richiesto uno sforzo notevole per renderli nuovamente operativi e farli arrivare al fronte in tempo utile.
Insomma, di tutte le escalation che ci possiamo aspettare dal conflitto nel corso del 2023, la più certa è senza dubbio quella dei costi: da logiche di magazzino si dovrà passare a logiche di produzione di armamenti a un ritmo elevato. Se la grande sfida per Russia e Ucraina nel 2022 è stata trovare alleati che donassero armi o vendessero parte dei loro arsenali, quest’anno sarà la capacità di espandere la produzione a giocare un ruolo di primo piano, come del resto possiamo leggere tra le righe delle recenti dichiarazioni occidentali e russe.
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Ultima Modifica: 25 Gennaio 2023